venerdì 4 gennaio 2013

Riforme: una parola per tutte le stagioni


Sono abbastanza vecchio da ricordarmi quando “riforma” era la parola d’ordine e la caratteristica principale di quella parte politica di natura socialista che però rifiutava come irrealizzabile l’idea di una rivoluzione profonda della società e un superamento della sua struttura capitalista. Più modestamente, riteneva possibile una moderazione degli egoismi capitalistici verso una struttura sociale più egualitaria attraverso l’applicazioni di nuove leggi ordinarie dello Stato. Queste nuove leggi, dovendo modificare la situazione di rapporto di forze preesistente e abbastanza statica, erano chiamate “leggi di riforma”.
All’epoca la struttura sociale era abbastanza definita, ed in Italia il predominio delle rendite, sia agrarie che immobiliari e finanziarie, e queste ultime erano la novità, stavano riprendendo il controllo dopo il troppo breve periodo di sviluppo un po’ selvaggio del dopoguerra, che aveva per un momento portato certe parti dell’industria italiana a competere con il resto del mondo in termini di innovazione e ricerca. “Riforme” era quindi una parola d’ordine di sinistra, per quanto moderata, e fatta poi propria anche dalla sinistra più estrema quando il crollo economico dell’Unione Sovietica dimostrò che l’abbattimento del capitalismo non era proprio dietro l’angolo, e oltretutto non tanto auspicabile se fatto tanto per fare.
In Italia le forze economiche “riformiste” furono sconfitte, con l’intera, o quasi, imprenditorialità italiana che abbandonò ogni idea di competizione internazionale in innovazione tecnologica per rifugiarsi nel più rassicurante utero materno della rendita di posizione e del monopolio statale. Le imprese produttive in settori tradizionali hanno dovuto fare dei veri e propri salti mortali per sopravvivere, attraverso innovazioni di struttura originali ed apprezzate anche all’estero, ma finendo inevitabilmente per doversi scontrare con la concorrenza dei paesi emergenti, il loro basso costo del lavoro e i minori controlli di qualità. Il risultato lo vediamo oggi.
Ma il mondo andava avanti indipendentemente dai desideri degli imprenditori italiani, e la natura stessa del capitalismo portava verso una sempre maggiore globalizzazione delle sue strutture. Aiutata da “apprendisti stregoni” in pieno conflitto di interessi, la liberalizzazione globale della finanza ha iniziato a ridurre, fino a farle scomparire, le singole capacità nazionali, già deboli in proprio, di controllo sull’aspetto finanziario, e di conseguenza su quello industriale locale. La conseguenza è il mondo in cui viviamo ora, in cui sembra che per poter continuare a sopravvivere bisogna rinunciare a molti dei livelli di civiltà comune faticosamente conquistati negli anni precedenti.
Ma anche questa rinuncia forzata viene chiamata “riforma”, e ritenuta indispensabile per la sopravvivenza della struttura sociale attuale. Solo che se mentre prima si volevano fare riforme in nome di un ideale di maggior uguaglianza, ora le attuali riforme servono solo a mantenere, ed inevitabilmente aumentare, le differenze economiche tra i diversi ceti sociali (non uso il termine “classi” a ragion veduta, ma di questo aspetto ne dovrò riparlare).
Oggi, per le prossime elezioni politiche, Mario Monti, il candidato che sarebbe stato considerato il “candidato conservatore” per eccellenza nei due secoli precedenti, si permette di definire “conservatori” Vendola, il rappresentante di una sinistra tutto sommato molto moderata, la Camusso, segretaria del più grande sindacato italiano, e Fassina, responsabile economico del Partito Democratico, partito accusato da molti di essere troppo moderato.
Monti si considera “riformatore” semplicemente perché vuole cambiare le regole esistenti, indipendentemente dal fatto che sia per una maggiore equità sociale o meno.
Non si rende conto che rafforzare i rapporti di forza tra ceti sociali già in atto, aiutare i forti ad essere più forti e rendere i deboli più deboli, anche se comporta una modifica delle regole esistenti, non è né può essere mai considerata una “riforma”, ma sempre e solo una “conservazione".
Se poi lo si fa anche sotto il patronato della forza più conservatrice al mondo, sopravissuta indenne e sempre potente a più di 2000 anni di storia, e sto ovviamente parlando della Chiesa Cattolica, non ci possono essere più dubbi di chi sia il vero “conservatore”.

2 commenti:

  1. Sembra stiano rinascendo i partiti del tempo di Ghirigiz

    http://www.enzolunari.it/files/Giri063.jpg

    http://www.enzolunari.it/files/Giri064.jpg

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  2. sono pur sempre cicli storici che si ripetono...
    ;)

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