Il primo Ministro Monti, in una delle tante esternazioni che
ultimamente gli riescono facili, anche se poi è tutto un rincorrersi a
cercare di mettere pezze e/o smentire questo e quello, ha fatto la
seguente affermazione
"Il nostro Sistema sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe
non essere garantito se non si individuano nuove modalità di
finanziamento"
Da Repubblica.it
Correzioni
e smentite, insieme a interpretazioni di quali avrebbero dovuto essere
le nuove modalità di finanziamento, da una totale privatizzazione della
sanità a nuove tasse dedicate, si sono abbattute come uno tsunami su
tutti i media.
Mi chiedo se Monti, nel pronunciare quelle parole
avesse chiaro cosa stava dicendo, o stava solo parlando in libertà,
proponendo un possibile, ma per lui non reale, problema.
Nel primo
caso le preoccupazioni di chi vede l'ennesimo e più forte tentativo di
privatizzare quella che è probabilmente la maggiore fonte di ricchezza
del futuro sarebbero decisamente fondate, e quindi un deciso cambio di
governo, con idee del tutto contrarie, diventerebbe essenziale.
Nel
secondo caso, che personalmente non credo sia del tutto da escludere,
Monti dimostra tutti i suoi limiti come politico. Chi lo consiglia, e
spero ci sia qualcuno con esperienza politica addetto a quello scopo,
dovrebbe assolutamente impedirgli di parlare in questo modo.
In
ogni caso se ne può derivare la conclusione che il costo del nostro
Sistema Sanitario Nazionale è alto, e forse troppo alto per le nostre
attuali risorse. Questa sarebbe una considerazione accettabile,
ovviamente di fronte a documentazione concreta e non taroccata. Ma la
conseguenza sarebbe quella di trovare il modo di razionalizzare le spese
in modo da ridurle senza ridurre gli effetti sui pazienti, e chiunque
abbia frequentato ospedali pubblici ma anche e sostanzialmente ospedali e
cliniche private sa bene che di margini di risparmio ce ne sono a iosa.
A
me però preme ricordare una precedente, e di molto poco, esternazione
del nostro Primo Ministro, quella che condannava l'esistenza di
resistenze corporative tra gli insegnanti delle nostre scuole. In un mio precedente post
avevo invitato Monti, che giustamente si lamentava dei legami
corporativi ancora forti nella nostra società, ad incominciare ad agire
contro quelli evidentemente più forti, quelli che condizionano la nostra
economia e anche l'intera struttura sociale. Ad incominciare, ad
esempio, a scardinare completamente le corporazioni dei medici e dei
farmacisti, che sono anche quelle che rendono molto più costoso del
necessario il nostro Servizio Sanitario Nazionale.
Lo vedi, Monti, che le soluzioni semplici ed efficaci esistono?
Bisogna
però che attacchi i veri poteri che bloccano l'Italia, non sempre e
solo i pensionati e i lavoratori senza peso contrattuale, come hai fatto
in modo pesante e molto poco sociale fino ad ora...
Per non parlar della Chiesa...
martedì 27 novembre 2012
lunedì 26 novembre 2012
I voti di Renzi
Non voglio fare polemiche fini a sè stesse, ma vorrei che anche Renzi evitasse di farne "pro domo sua" in modo tanto sfacciato. Pretendere di aprire nuovamante la possibilità di partecipare alle votazioni di ballottaggio a persone che non si erano iscritte al primo turno delle primarie potrebbe sembrare una richiesta onesta di puro spirito democratico, puro come l'aspetto di pupo innocente che Renzi riesce a presentare nelle sue molto frequenti apparizioni mediatiche.
Ma puro non è, e non solo il suo aspetto è costruito, ma anche il suo appoggio elettorale presenta molti lati oscuri, con evidenze che vanno molto al di là dei semplici sospetti preelettorali.
Nel seggio in cui ho votato io sono stati osservati molti, non alcuni, ma bensì molti personaggi noti per simpatie di destra. Non semplici elettori di centro con qualche dubbio...
Ma casi analoghi in giro per l'Italia sono molti, e questo post ne è un esempio:
Lettere da Lucca
così come molte altre testimonianze di cui porto un caso:
Maria Grazia Bonicelli
Mi chiedo quindi cosa si aspetterebbe Renzi dal permettere ad ancora più persone di partecipare alle votazioni di ballottaggio. Di avere anche i voti personali di Berlusconi e della Santanchè?
Ma quelli li ha di sicuro, anche se non esplicitamente...
Poiché il suo scopo sembra sempre più evidentemente quello di spaccare il PD e formarsi il suo partito personale, da buon emulo del suo maestro Berlusconi, bisognerebbe che di questo se ne rendessero conto i suoi elettori che ancora credono di votare uno di sinistra, giovane e desideroso di cambiare, e che quindi gli facessero invece terra bruciata tutto intorno...
Che se si ritrova solo con i suoi votanti di destra, in fin dei conti una scissione al PD converrebbe... almeno per chiarezza e per definire meglio cosa significa essere di sinistra...
Ma puro non è, e non solo il suo aspetto è costruito, ma anche il suo appoggio elettorale presenta molti lati oscuri, con evidenze che vanno molto al di là dei semplici sospetti preelettorali.
Nel seggio in cui ho votato io sono stati osservati molti, non alcuni, ma bensì molti personaggi noti per simpatie di destra. Non semplici elettori di centro con qualche dubbio...
Ma casi analoghi in giro per l'Italia sono molti, e questo post ne è un esempio:
Lettere da Lucca
così come molte altre testimonianze di cui porto un caso:
Maria Grazia Bonicelli
Mi chiedo quindi cosa si aspetterebbe Renzi dal permettere ad ancora più persone di partecipare alle votazioni di ballottaggio. Di avere anche i voti personali di Berlusconi e della Santanchè?
Ma quelli li ha di sicuro, anche se non esplicitamente...
Poiché il suo scopo sembra sempre più evidentemente quello di spaccare il PD e formarsi il suo partito personale, da buon emulo del suo maestro Berlusconi, bisognerebbe che di questo se ne rendessero conto i suoi elettori che ancora credono di votare uno di sinistra, giovane e desideroso di cambiare, e che quindi gli facessero invece terra bruciata tutto intorno...
Che se si ritrova solo con i suoi votanti di destra, in fin dei conti una scissione al PD converrebbe... almeno per chiarezza e per definire meglio cosa significa essere di sinistra...
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domenica 25 novembre 2012
Gli insegnanti e il corporativismo
Oggi il Primo Ministro Monti ha fatto delle considerazioni sulle ultime proteste degli studenti, e tra le tante cose banali dette, spicca anche questa frase ( da Repubblica.it):
"Gli studenti sono quelli più in credito e fanno bene a manifetare il loro dissenso" ha poi puntato il dito contro "i privilegi corporativi" di alcuni insegnanti: "Nella sfera del personale della scuola abbiamo riscontrato anche grande spirito conservatore", come la "grande indisponibilità a fare due ore in più a settimana che avrebbe significato più didattica e cultura"
Io credo che se davvero intendeva aumentare la didattica e la cultura nella scuola, avrebbe dovuto proporre agli insegnanti di fare due ore di più agli stessi studenti, non a studenti diversi per ridurre il numero di insegnanti, e aumentare di conseguenza lo stipendio, non tenerlo bloccato e lasciarlo erodere dall'inflazione. Questa proposta sarebbe stata a favore di una maggiore didattica e cultura. Quella che il suo governo ha fatto è solo stata un aumento del carico di lavoro individuale per ridurre la spesa, senza alcun vantaggio per gli studenti se non di avere insegnanti più stressati.
Che poi la società italiana sia sostanzialmente corporativa lo si sa da tempo, e nessuno è mai riuscito a limitare il potere delle corporazioni, per cui sono contento che Monti, anche lui, abbia questa preoccupazione, ma se vuole fare qualcosa di significativo dovrebbe incominciare dalle corporazioni serie, quelle che hanno il potere di condizionare l'economia italiana e distorcerne la società. Potrebbe incominciare dai medici, dai farmacisti, dai notai, dai magistrati... o Monti vede il corporativismo solo nelle piccolezze di piccoli privilegi di una parte minoritaria degli insegnanti?
O magari si sente forte solo di attaccare le corporazioni più deboli ed insignificanti? In questo caso, almeno abbia il pudore di tacere.
"Gli studenti sono quelli più in credito e fanno bene a manifetare il loro dissenso" ha poi puntato il dito contro "i privilegi corporativi" di alcuni insegnanti: "Nella sfera del personale della scuola abbiamo riscontrato anche grande spirito conservatore", come la "grande indisponibilità a fare due ore in più a settimana che avrebbe significato più didattica e cultura"
Io credo che se davvero intendeva aumentare la didattica e la cultura nella scuola, avrebbe dovuto proporre agli insegnanti di fare due ore di più agli stessi studenti, non a studenti diversi per ridurre il numero di insegnanti, e aumentare di conseguenza lo stipendio, non tenerlo bloccato e lasciarlo erodere dall'inflazione. Questa proposta sarebbe stata a favore di una maggiore didattica e cultura. Quella che il suo governo ha fatto è solo stata un aumento del carico di lavoro individuale per ridurre la spesa, senza alcun vantaggio per gli studenti se non di avere insegnanti più stressati.
Che poi la società italiana sia sostanzialmente corporativa lo si sa da tempo, e nessuno è mai riuscito a limitare il potere delle corporazioni, per cui sono contento che Monti, anche lui, abbia questa preoccupazione, ma se vuole fare qualcosa di significativo dovrebbe incominciare dalle corporazioni serie, quelle che hanno il potere di condizionare l'economia italiana e distorcerne la società. Potrebbe incominciare dai medici, dai farmacisti, dai notai, dai magistrati... o Monti vede il corporativismo solo nelle piccolezze di piccoli privilegi di una parte minoritaria degli insegnanti?
O magari si sente forte solo di attaccare le corporazioni più deboli ed insignificanti? In questo caso, almeno abbia il pudore di tacere.
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sabato 24 novembre 2012
Baguette alla Segale - Versione Definitiva
Dopo aver imparato come ottenere impasti ad alta idratazione e ben incordati con la planetaria, e c'è voluto un po' per riuscirci, e dopo aver imparato come gestire gli impasti fortemente idratati e quindi estremamente morbidi, sono riuscito a mettere a punto una ricetta delle Baguette alla Segale con il 75% di idratazione che, dopo tante prove, si è dimostrata affidabile, oltre che soddisfacente. L'ho quindi definita la mia prima Ricetta Definitiva, che rimarrà così almeno per un certo tempo. Qui potrete trovare l'intera ricetta fotografata passo passo, con un dettaglio particolare.
Per chi è un frequentatore di FaceBook, posso anche suggerire di dare un'occhiata alla pagina del Panettiere per Caso, e lasciare un segno, se si vuole.
Per chi è un frequentatore di FaceBook, posso anche suggerire di dare un'occhiata alla pagina del Panettiere per Caso, e lasciare un segno, se si vuole.
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giovedì 22 novembre 2012
Commento alle risposte alla prima domanda di Dibattito Scienza
Come avevo
annunciato in un post precedente, un gruppo abbastanza eterogeneo di
giornalisti scientifici, ricercatori e semplici affezionati, hanno proposto sei
domande ai candidati alle primarie del centrosinistra, proponendosi di
riproporle anche a qualunque altro candidato di primarie di ogni coalizione e,
alla fine, di proporre un numero più nutrito (e più meditato) di domande ai
candidati finali alle elezioni nazionali. Lo scopo delle domande era di capire
e far capire a tutti gli elettori non solo le intenzioni dei vari candidati su
alcuni temi particolari di interesse scientifico, ma soprattutto di capire il
peso che ogni candidato dà al ruolo della scienza e del suo metodo di analisi
nello svolgimento del proprio ruolo politico di mediazione tra diversi
interessi.
Le domande e
tutte le risposte possono essere trovate sul sito de Le Scienze, a cui rimando
per ulteriori dettagli dell’iniziativa.
In questo post mi
limiterò a commentare le risposte alla prima domanda, che è quella che mi
interessava di più e che ha, secondo me, il significato più generale
coinvolgendo di fatto il futuro economico ed industriale dell’Italia. Poi, se
avrò tempo e forza, cercherò di commentare anche le altre risposte.
La prima domanda
era la seguente:
Quali politiche
intende perseguire per il rilancio della ricerca in Italia, sia di base sia
applicata, e quali provvedimenti concreti intende promuovere a favore dei
ricercatori più giovani?
Tutti i candidati
fanno osservare, con maggiore o minore dettaglio, che l’Italia investe in
ricerca molto meno della media europea, e molto meno di utti i paesi più
industrializzati d’Europa e del mondo.
Vediamo ora gli
aspetti principali delle singole risposte.
1 – Bersani
Bersani fa notare
che è l’investimento privato che è deficitario, anche se non definisce bene il
problema; è l’unico che mette in stretta connessione la ricerca scientifica
alla capacità industriale del paese, e lega quest’ultima, di cui auspica il
mantenimento e la crescita, allo sviluppo di ricerca e innovazione. Non dice cose
nuove rispetto al suo vecchio libretto scritto insieme ad Enrico Letta: Viaggio
nell’Economia Italiana (Donzelli Editore - 2004), ma onestamente non era certo
questo il luogo di un discorso più articolato. Non dice nulla sulla politica di
reclutamento, ma accenna alla necessità di travaso di personale dalla ricerca
all’industria.
2 – Puppato
Poche parole
generiche sulla necessità di investimento, sulle sinergie con l’industria,
sull’eliminazione delle baronie e del precariato.
3 – Renzi
Forte accento sulla
necessità di far diventare meritocratico sia il reclutamento che il
finanziamento della ricerca pubblica (parla solo di questa). Se per il
finanziamento si appoggia sulle valutazioni ANVUR (da migliorare non si sa
come), per il reclutamento non dà alcuna indicazione di metodo. Propone di
favorire fiscalmente le donazioni alla ricerca (sempre pubblica) ma a costo
complessivo zero. Propone un’agenzia per il finanziamento di idee originali, ma
non è chiaro se di ricerca od applicative, cioè di spin-off industriali.
4 – Tabacci
Quella di Tabacci
è una risposta lunga, probabilmente troppo lunga, dato che si dilunga in
dettagli che a questo livello della discussione sono quasi incomprensibili,
perché richiedono competenze specifiche e conoscenze delle legislazioni
nazionali ed europee non condivise da tutti. Cercare di fare un riassunto delle
sue proposte è altrettanto difficile, perché a meno di fare un elenco banale di
ogni suo paragrafo, la valutazione generale è estremamente povera in impegni
politicamente ed oggettivamente importanti. Si richiama in modo continuo alla
legislazione europea, anche non sempre a proposito. Propone, unico tra i
candidati, dei settori strategici su cui puntare per lo sviluppo della ricerca.
Solo sul reclutamento dei giovani non ha proposte precise ma si limita a proposizioni
generiche.
5 – Vendola
A parte
dichiarazioni estremamente generiche, si può solo notare una richiesta di
aprire la governance delle Università e degli Enti di ricerca a tutte le figure
professionali, anche precarie. Spicca però la dichiarazione della necessità di
stimolare le industrie, in vista ad un loro sviluppo innovativo, ad investire
più in ricercatori che in capannoni. Nella sua genericità, è l’unico spunto
verso il costringere le industrie a fare qualcosa che sia di loro interesse
generale e non immediato.
Le mie
considerazioni finali
Quello che sto
per fare non sarà un discorso omogeneo, che cercherò di fare nel futuro e
sganciato da questo evento particolare. Voglio invece presentare le mie opinioni
su queste risposte, un po’ come vengono e saltando anche da uno all’altro.
D’altronde questo era un esperimento e un esperimento è anche la loro
valutazione.
Prima di tutto
devo dire che sono estremamente contento di come si è evoluta questa iniziativa
molto estemporanea. Anche se ovviamente le domande che abbiamo posto sono
discutibili da molti punti di vista, sono state perlomeno un inizio, ed il
fatto di aver ricevuto (grazie anche a persecuzioni e minacce varie :) ) risposta
da tutti rappresenta un successo e un punto di partenza per azioni successive
più meditate.
Sicuramente
nessuno di noi si aspettava che a rispondere a queste domande fosse personalmente il candidato cui si riferiscono, ma questo è normale. Ogni
politico deve circondarsi da uno staff di persone di cui ha fiducia e delegare
la gran parte delle decisioni, magari sotto la sua supervisione, specialmente
su questioni molto specialistiche. Quindi nel valutare queste risposte, io non
penso di giudicare una persona, ma un insieme di persone, che però devono assommare
le competenze necessarie al compito, sotto la responsabilità globale del
candidato.
Bersani dimostra
di avere una visione estremamente chiara del ruolo della Ricerca Scientifica per lo
sviluppo industriale, e di come per l’Italia ci sia solo la strada
dell’innovazione per conservare un ruolo produttivo adeguato. Sembra aver poca
dimestichezza con il mondo della ricerca accademica, ma la sua esperienza
passata lo pone nella condizione di capire cosa andrebbe fatto per l’industria.
Non ha dato alcuna indicazione dei modi in cui pensa di ottenere i risultati
che auspica, lasciando l’impressione di aver dato poca importanza globale a
queste nostre domande. Su come affrontare il problema del reclutamento e del
relativo finanziamento è stato molto deludente, evitando qualunque risposta
concreta. Dimostra un’alta competenza economica, ma se dovesse diventare Primo
Ministro avrebbe bisogno di un Ministro della Ricerca di livello superiore.
In contrasto
totale con Bersani, Renzi ignora del tutto il rilievo economico ed industriale
della ricerca scientifica, e si preoccupa solo di voler garantire una
meritocrazia che avrebbe tanto bisogno di essere definita, prima che essere
attuata. Per Renzi la ricerca scientifica è solo quella cosa che si fa nelle
Università (e magari in Enti di Ricerca, ammesso che ne conosca l’esistenza),
in cui dominano Baroni da sconfiggere, senza correlare questi aspetti alla
struttura corporativa di una parte della società italiana, di cui però proprio
la parte scientifica è largamente immune. Renzi in definitiva nemmeno conosce
le differenze tra i vari settori delle Università.
Tabacci è stato
invece alluvionale. Ma ci ha sommerso con dettagli del tutto ininfluenti
rispetto ai problemi generali, su cui invece dice poco o niente. Mi fa piacere
di sapere che nel suo staff c’è sicuramente qualcuno che conosce molto bene la
legislazione europea, ma che però ignora che la politica europea della ricerca
deve necessariamente evitare gli aspetti applicativi, cioè quelli che rendono
utili economici, perché su quell’aspetto, di interesse sostanzialmente industriale, ogni
paese, ma anche ogni industria, è geloso e non disposposto a condividere
alcunché. Quindi basare ogni obiettivo di sviluppo sulle regole europee è,
sempre e solo secondo me, del tutto sbagliato, a meno che non si parli
esclusivamente della ricerca di base o di strutture comuni (ma le strutture poi
vanno sapute utilizzare). Riassumendo, un elenco infinito di possibili
provvedimenti, alcuni sicuramente utili, altri di effetto molto dubbio, ma una
carenza di visione globale molto preoccupante.
Vendola è stato
estremamente generico, con l’inevitabile puntata demagogica dell’allargamento
della governance delle strutture di ricerca a tutte le professionalità
presenti. E' stato però l’unico, non so quanto volutamente, a toccare l’aspetto
di dover convincere le industrie ad investire in personale qualificato, senza
il quale non sarebbero mai in grado di sfruttare nemmeno quella (piccola) parte
di ricerca utile per loro che le università ancora fanno. Con personale adeguato
a saper capire la ricerca e a saperla trasformare in prodotto vendibile,
sarebbe poi possibile la famosa sinergia tra ricerca ed industria, con
possibilità di lavoro comune o addirittura di commissionare qualche ricerca.
Non credo che
Vendola, o chi per lui, fosse cosciente delle implicazioni di quella frase, ma
sono comunque contento che ci sia stata, perché così ho potuto aggiungere le
mie considerazioni.
La Puppato invece dimostra molto poca consapevolezza dei problemi della Ricerca Scientifica e dei suoi risvolti economici.Tutto sommato un'esperienza molto utile e da continuare, anche per abituare i nostri candidati politici a dover rispondere in modo organico a domande di potenziali elettori, senza farsi cogliere di sorpresa e senza essere troppo generici, come è purtroppo successo questa volta. Ora dovrei anche cercare di commentare le risposte alle altre domande...
Ma con calma...
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mercoledì 21 novembre 2012
Il problema della produttività industriale in Italia
Oggi è stato firmato un accordo "per la produttività" tra diverse parti sociali, sindacati e Confindustria in primis, con l'avvallo del Governo. Manca però la firma della CGIL. Da parte governativa si cerca di minimizzare questa mancanza, sottolineando che la porta non sarà mai chiusa e nessuno verrà escluso da alcunchè.
Questo è un elemento positivo rispetto al recente passato in cui la spaccatura tra i sindacati era invece il reale obiettivo di ogni trattativa. Ma rimane il fatto che su una questione di estrema importanza per l'economia del paese si ha ancora una contrapposizione tra le organizzazioni padronali e il maggiore sindacato italiano.
La questione in discussione è complessa, molto complessa, per cui è impossibile definire in modo semplice chi ha ragione e chi torto, è anche difficile decidere se esiste una ragione e un torto.
Io non sono mai stato molto concorde con certi estremismi ideologici di una parte della CGIL che hanno in modo evidente condizionato la posizione dell'intera Confederazione, ma questa volta, indipendentemente dagli argomenti portati da l'una e dall'altra parte, mi sento di porre io una domanda:
Volete che, al di là di azioni su cui esiste accordo generale come una riduzione del peso e del costo della burocrazia, un sensibile aumento di produttività venga ottenuto attraverso una diminuizione significativa del costo del lavoro per unità di tempo o invece attraverso un aumento significativo del valore aggiunto del lavoro per la stessa unità di tempo?
Ovvio che la prima soluzione è la più facile, e l'unica che la nostra classe imprenditoriale ha saputo proporre fino ad ora, ma la seconda sarebbe l'unica soluzione capace di mantenere l'Italia nel novero dei paesi sviluppati. E' una soluzione difficile da perseguire, visto il livello in cui siamo, ma è la soluzione che DEVE essere perseguita, facendo pagare il costo a chi deve e che non ha pagato niente al momento.
Forse su questa base anche l'opposizione della CGIL sarebbe minore, e l'emarginazione delle sue frange più ideologiche risulterebbe più facile. A parte il fatto che è anche la strada GIUSTA da percorrere...
Questo è un elemento positivo rispetto al recente passato in cui la spaccatura tra i sindacati era invece il reale obiettivo di ogni trattativa. Ma rimane il fatto che su una questione di estrema importanza per l'economia del paese si ha ancora una contrapposizione tra le organizzazioni padronali e il maggiore sindacato italiano.
La questione in discussione è complessa, molto complessa, per cui è impossibile definire in modo semplice chi ha ragione e chi torto, è anche difficile decidere se esiste una ragione e un torto.
Io non sono mai stato molto concorde con certi estremismi ideologici di una parte della CGIL che hanno in modo evidente condizionato la posizione dell'intera Confederazione, ma questa volta, indipendentemente dagli argomenti portati da l'una e dall'altra parte, mi sento di porre io una domanda:
Volete che, al di là di azioni su cui esiste accordo generale come una riduzione del peso e del costo della burocrazia, un sensibile aumento di produttività venga ottenuto attraverso una diminuizione significativa del costo del lavoro per unità di tempo o invece attraverso un aumento significativo del valore aggiunto del lavoro per la stessa unità di tempo?
Ovvio che la prima soluzione è la più facile, e l'unica che la nostra classe imprenditoriale ha saputo proporre fino ad ora, ma la seconda sarebbe l'unica soluzione capace di mantenere l'Italia nel novero dei paesi sviluppati. E' una soluzione difficile da perseguire, visto il livello in cui siamo, ma è la soluzione che DEVE essere perseguita, facendo pagare il costo a chi deve e che non ha pagato niente al momento.
Forse su questa base anche l'opposizione della CGIL sarebbe minore, e l'emarginazione delle sue frange più ideologiche risulterebbe più facile. A parte il fatto che è anche la strada GIUSTA da percorrere...
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lunedì 19 novembre 2012
The Black Company
The Black Company è il primo romanzo di una serie che, a partire dal lontano 1984, è arrivata a 10 volumi, e altri due sono annunciati.
E' una serie che ha avuto un successo non altissimo ma continuo, con un gran numero di affezionati che li hanno letti tutti.
Il genere è quello definito Dark Fantasy, in cui stregonerie malvage, mostri di vario genere e cattivi potentissimi dominano la scena in atmosfere cupe e tenebrose. Apparentemente però la fama della serie sembra dovuta maggiormente all'avere al centro della narrazione le vicende di una compagnia mercenaria, tanto da essere stata anche chiamata il primo esempio di Fantasy Militare.
Come ho detto nella mia presentazione, questo primo romanzo mi lascia molto perplesso, perchè mi sembra raggiungere a malapena la sufficienza e non riesco a capire le ragioni del suo successo.
Probabilmente solo dalla lettura del seguito riuscirò a risolvere quello che al momento è un grosso dubbio.
E' una serie che ha avuto un successo non altissimo ma continuo, con un gran numero di affezionati che li hanno letti tutti.
Il genere è quello definito Dark Fantasy, in cui stregonerie malvage, mostri di vario genere e cattivi potentissimi dominano la scena in atmosfere cupe e tenebrose. Apparentemente però la fama della serie sembra dovuta maggiormente all'avere al centro della narrazione le vicende di una compagnia mercenaria, tanto da essere stata anche chiamata il primo esempio di Fantasy Militare.
Come ho detto nella mia presentazione, questo primo romanzo mi lascia molto perplesso, perchè mi sembra raggiungere a malapena la sufficienza e non riesco a capire le ragioni del suo successo.
Probabilmente solo dalla lettura del seguito riuscirò a risolvere quello che al momento è un grosso dubbio.
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venerdì 16 novembre 2012
6 domande ai candidati alle primarie
Per informazione di quella decina (scarsa) di lettori giornalieri di questo blog senza pretese, presento anche qui l'iniziativa presa da un gruppo molto eterogeneo di persone, tra cui (non) brillavo io. Si va dal meglio del giornalismo scientifico italiano, ad un gruppetto di ricercatori scientifici di Enti italiani ed internazionali, a semplici appassionati dei problemi della scienza, tutti accomunati da avere un minimo di frequentazione di FaceBook e molti da essere dei blogger, anche se a volte di ennesima linea, come nel mio caso.
L'iniziativa è la seguente (copio/incollo dalla dichiarazione ufficiale che può essere trovata sul sito della rivista Le Scienze):
E la scienza? Nel recente confronto televisivo tra i cinque candidati
alle primarie del centrosinistra, i problemi della scienza e della
ricerca non sono comparsi, né trovano particolare spazio nel dibattito
politico in corso a dispetto della loro centralità per lo sviluppo
nazionale.
Un gruppo di giornalisti scientifici, blogger, ricercatori e cittadini, constatata la mancanza di domande ai candidati alle primarie del centrosinistra sulle loro posizioni politiche in materia di scienza e ricerca, e ritenendo invece che da queste politiche dipenderà il futuro sociale ed economico a medio e lungo termine del paese, ha quindi deciso di chiedere ai candidati di rispondere a sei temi di grande respiro, in modo da offrire ai cittadini un panorama più completo della loro proposta politica.
Un gruppo di giornalisti scientifici, blogger, ricercatori e cittadini, constatata la mancanza di domande ai candidati alle primarie del centrosinistra sulle loro posizioni politiche in materia di scienza e ricerca, e ritenendo invece che da queste politiche dipenderà il futuro sociale ed economico a medio e lungo termine del paese, ha quindi deciso di chiedere ai candidati di rispondere a sei temi di grande respiro, in modo da offrire ai cittadini un panorama più completo della loro proposta politica.
Le sei domande
1. Quali politiche intende perseguire per il rilancio della ricerca in Italia, sia di base sia applicata, e quali provvedimenti concreti intende promuovere a favore dei ricercatori più giovani?
2. Quali misure adotterà per la messa in sicurezza del territorio nazionale dal punto di vista sismico e idrogeologico?
3. Qual è la sua posizione sul cambiamento climatico e quali politiche energetiche si propone di mettere in campo?
4. Quali politiche intende adottare in materia di fecondazione assistita e testamento biologico? In particolare, qual è la sua posizione sulla legge 40?
5. Quali politiche intende adottare per la sperimentazione pubblica in pieno campo di OGM e per l’etichettatura anche di latte, carni e formaggi derivati da animali nutriti con mangimi OGM?
6. Qual è la sua posizione in merito alle medicine alternative, in particolare per quel che riguarda il rimborso di queste terapie da parte del SSN?
1. Quali politiche intende perseguire per il rilancio della ricerca in Italia, sia di base sia applicata, e quali provvedimenti concreti intende promuovere a favore dei ricercatori più giovani?
2. Quali misure adotterà per la messa in sicurezza del territorio nazionale dal punto di vista sismico e idrogeologico?
3. Qual è la sua posizione sul cambiamento climatico e quali politiche energetiche si propone di mettere in campo?
4. Quali politiche intende adottare in materia di fecondazione assistita e testamento biologico? In particolare, qual è la sua posizione sulla legge 40?
5. Quali politiche intende adottare per la sperimentazione pubblica in pieno campo di OGM e per l’etichettatura anche di latte, carni e formaggi derivati da animali nutriti con mangimi OGM?
6. Qual è la sua posizione in merito alle medicine alternative, in particolare per quel che riguarda il rimborso di queste terapie da parte del SSN?
E' nostra intenzione proporre le stesse identiche domande a qualunque candidato a votazioni primarie di qualunque partito o coalizione.
In attesa, e nella speranza, di avere delle risposte, stiamo preparando una lista più corposa, e magari più meditata, di domande da sottoporre ai candidati finali alle elezioni politiche.
Sarebbe ora di far capire a tutti, ma ai politici in particolare, che la Scienza non è un optional con cui farsi belli ogni tanto in caso di qualche successo che colpisce l'immaginazione, ma è invece una delle risorse essenziali, se non la più essenziale di tutte, per un paese come il nostro. L'alternativa è di dedicarci al turismo, come sembra aver detto ieri sera Briatore in qualche trasmissione televisiva con il supporto di qualche economista di turno. Bisogna solo essere coscienti che in quel caso i briatore ci farebbero i soldi, ed a noi, la grandissima maggioranza, toccherebbe solo la parte di camerieri.
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domenica 11 novembre 2012
Perché la FIOM non può (ri)costruire un nuovo Partito Socialista
-->
Questo argomento, oltre che una validità attuale, ha anche
una importanza generale, per cui meriterebbe ben altro trattamento che un
semplice post. Ma al momento è tutto quello che posso fare.
Da qualche tempo, in ambienti dei gruppi di sinistra più
“fondamentalista”, ma anche tra i vari movimenti protestatari, accomunati da
una violenta opposizione al Governo Monti e da un’avversione per la posizione
moderata del PD, sta circolando l’idea, o meglio la speranza, che intorno alla
FIOM e al suo duro operaismo si possa coagulare l’embrione di un nuovo partito
di classe, un nuovo Partito Socialista dei Lavoratori.
Sarebbe una riedizione di quanto è successo sul finire del
1800 in Inghilterra dove un certo numero di sindacati di lavoratori (trade
union) insieme a gruppetti di ispirazione socialista, anche di estrazione
sostanzialmente borghese, diedero vita all’embrione di quello che sarebbe poi
diventato il Labour Party.
Io credo però che il ripetere questa operazione sia
storicamente e politicamente impossibile. Sarebbe al massimo la creazione
dell’ennesimo gruppetto estremista e pseudoclassista che avrebbe vita breve e
consenso praticamente nullo.
Perché faccio questa affermazione? Perché una concreta ed
operativa definizione di cosa è una classe sociale l’ha data Immanuel
Wallerstein nella conclusione del primo volume del suo lavoro più importante [1].
Riassumendo in due parole, una classe sociale diventa tale
quando acquista coscienza di esserlo e di essere portatrice di un proprio
modello di società. Al di fuori di questo si tratta semplicemente di ceti
sociali in normale lotta per la spartizione della torta, ma niente che
coinvolga la struttura della società.
Alla luce di questa definizione, mentre le trade union
dell’Inghilterra del 1890 stavano facendo nascere una vera consapevolezza di
classe e grazie ai gruppi socialisti e marxisti avevano anche una proposta di
struttura sociale alternativa, oggi questo non può essere vero neanche per una
frangia sindacale “dura e pura” come la FIOM. Perché, come avevo già detto in
un mio vecchio articolo [2], non è che ora siano scomparsi i lavoratori sfruttati,
anzi, ma oggi quella che manca è una credibile proposta di una società
alternativa all’attuale.
Deve essere chiaro che sto parlando di una diversa struttura
sociale, non di diversi pesi delle varie parti all’interno della stessa
struttura come è invece l’obiettivo delle forze politiche di sinistra moderata.
Con l’evidente incapacità del cosiddetto socialismo reale di essere una vera
alternativa, al di là di ogni teoria di complotto e di tradimento, perché è
ormai evidente che la naturale ed inevitabile evoluzione di una società basata
su quei principi non poteva che essere una società dominata da una burocrazia
di gestione, e di fatto estremamente inefficiente, siamo oggi senza alcuna
alternativa al capitalismo in cui viviamo. Possiamo solo pensare di
controllarne di più le libertà selvagge e le tendenze monopolistiche, operare
in favore dei ceti sociali meno forti, più sfruttati, ma non c’è al momento una
classe alternativa che abbia il proprio ideale di società che sia credibile e
con possibilità di realizzazione.
Per questo non credo che il raggruppamento che si vorrebbe
formare intorno al nocciolo duro della FIOM abbia la minima possibilità di
ottenere quello che auspica, cioé la nascita di un nuovo partito di classe.
Sono quindi tanti sforzi e tanti voti completamente
sprecati.
Referenze
[1] - Immanuel Wallerstein: Il Sistema Mondiale dell'Economia Moderna - vol I - Il Mulino 1978
[2] - Michele Castellano: Cosa rimane della lotta di classe
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domenica 4 novembre 2012
The Price of Spring
The Price of Spring è il quarto e conclusivo capitolo della saga The Long Price Quartet di Daniel Abraham. Una splendida storia fantasy che trova in questo volume una conclusione soddisfacente, in linea con la filosofia dell'intera narrazione, per cui le buone intenzioni fin troppo spesso portano a dolori più grandi di quelli che vorrebbero sanare. Ma alla fine un minimo di speranza di poter ottenere un mondo migliore sembra nascere dai sacrifici dei protagonisti.
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